Cibi “low”, maneggiare con cura. Il bluff è dietro l’angolo
“Il sonno della ragione genera mostri” è il titolo di un famoso quadro del pittore spagnolo Francesco Goya. Ed è quello che ci è venuto in mente leggendo i risultati di un’indagine pubblicata dal Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics e ripresa da un articolo del Corriere della Sera a firma di Elena Meli. Secondo i dati americani si sta consolidando sempre più la tendenza a mangiare senza: “senza grassi, senza zuccheri, senza sale, ecc…”.
L’indagine, svolta dai ricercatori della Gilling School of Global Public Health, dell’Università del North Carolina, dopo aver valutato oltre 80 milioni di alimenti acquistati da 40mila famiglie fra il 2008 e il 2012, hanno osservato che il 13 per cento dei cibi e il 35 per cento delle bevande che finiscono nei carrelli degli statunitensi ha etichette in cui si decanta l’assenza o la scarsa presenza di qualcosa: dai grassi, alle calorie, agli zuccheri al sale. Ma siamo sicuri che sia questa la strada per una corretta alimentazione? Sembrerebbe di no, almeno stando alle parole di Lindsey Smith Taillie, coordinatrice dell’indagine.
“Molti di questi cibi – dice Taillie al Corriere della Sera – hanno un profilo nutrizionale non corretto perché sono privi o scarseggiano di un nutriente sotto accusa, ma sono ricchi di altri elementi altrettanto negativi per la salute. Le dichiarazioni ha ridotto contenuto di qualcosa sono spesso fuorvianti: c’è meno solo di quello specifico nutriente, ma perché un prodotto si possa considerare sano si devono tenere presenti tutte le caratteristiche nutrizionali leggendo con cura tutta l’etichetta”. Ma non basta, stando a uno studio presentato al congresso dell’European Society of Pediatric Gastroenterology Hepatology and Nutrition molti tipi di pane, pizza, biscotti gluten free contengono tre volte meno proteine e più grassi rispetto alle controparti con glutine. Insomma bisogna distinguere sempre tra esigenze di (cattivo) marketing e verità scientifiche, in nome della trasparenza verso i consumatori ma, prima di tutto, in nome della ragionevolezza.
Fonte, Corriere della Sera, Elena Meli, 21 maggio 2017